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prefazione xix

lontanamente preso di mira in un piccolo brano, nel quale è manifestamente accennato in viso all’istrione Paride, e a quel mostro di Domiziano? Fu, è vero, anche in corte di Trajano un pantomimo o saltatore molto ben visto e potente, Pilade,1 il quale non nego, che a prima vista non offra un argomento di qualche forza per far supporre che questo Imperatore potesse prender per sè quella tirata del poeta satirico: ma se consideriamo da un lato, che in quei versi sono chiaramente notati i tempi di Domiziano, e vi è registrato il nome di Paride suo cagnotto; se dall’altro si riflette che nessuno scrittore accusò mai Trajano d’aver distribuito prefetture e tribunati per favore d’alcuno, e che il sospetto non entrava affatto nel suo carattere; si vedrà quanto sia fuor di ragione il pensare, che dovesse riconoscersi adombrato in quei versi. Infatti Dione Cassio, Plinio, Aurelio Vittore e gli altri, che scrissero di lui, ce lo presentano come l’ottimo dei Principi, che «fidente in sua virtù, non apparve mai sospettoso nè ombroso»; che avendo anzi alcuno voluto mettergli in mala vista Licinio Sura intimo suo, per mostrare che nulla temeva, andò solo e senza guardie a cena da lui;2 che per lasciare a tutti piena libertà di parola nel giudicare i suoi atti, volle abolite le accuse di maestà; e nel-

  1. Dione Cassio, LXVIII, 10.
  2. Vannucci, Storia, V, IV, 366.