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prefazione xvii

opulenza.1 Plinio invece, essi dicono, scrivendo al medesimo, lo chiama felice sì, ma in mediocre stato di fortuna; e gli offre cinquanta mila nummi per dotare una sua figliuola. Ciò dimostra che durante il regno di Trajano, quando fu scritta questa lettera, il famoso Retore non era ricco.

Questa lettera di Plinio è vera; ma quegli al quale fu diretta, è soltanto un omonimo di Quintiliano; non la stessa persona. Quintiliano era rimasto senza prole, come ci attesta lui stesso nella prefazione del sesto libro delle Istituzioni oratorie, dove deplora la sua orbità: quindi non poteva aver figlie da maritare. Inoltre Plinio, che era stato suo discepolo, e visse sempre con lui in gran dimestichezza e intimità, non avrebbe certamente mancato, scrivendo al suo vecchio maetro por offrirgli quella somma, di accompagnare il benefizio con una parola di gratitudine, e di farglielo apparire meno umiliante col pretesto di un antico debito: del che non è indizio in quella lettera. Non è poi credibile che Quintiliano fosse povero sotto Trajano. È noto che al tempo di Vespasiano egli godè un pubblico stipendio: e ottenuto dopo venti anni il riposo, ebbe l’onore degli ornamenti consolari per mezzo di Clemente, zio di Domiziano, del quale avea educato i figli.2 Sia dunque vero o supposto, come sembra più

  1. Sat. VII, 189.
  2. Ausonio, Grat. Act., p. 290.