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6 satire

Ruote divora la Flaminia;[1] e strutto
Avendo nei presepi il censo avito,
Di comandare una coorte or vanta
Il dritto, perchè imberbe Automedonte
Guidava la carrozza, ove Suigi[2]
Coll’amica in calzon faceva il bello.
    Chi non vorrebbe empir dei lunghi fogli
Fin nel mezzo d’un trivio, allorché vede
In portantina a sei del tutto aperta,
Per dar meglio nell’occhio, ire in panciolle
Quel trappolon, viva caricatura
Di Mecenate col bellico all’aria,
Che sol con quattro scarabocchi e un falso
Sigillo empì le casse; ed or misura
Li scudi collo stajo, e fa tempone?
    Ma, largo! chè s’avanza una gran dama:
Quella che dando bere al sitibondo
Sposo, di rospi mescolò la bava
Col Caleno abboccato:[3] ed or, più dotta
Di Locusta,[4] ammaestra le figliole,
Come si può spedir coi piedi all’uscio
I mariti, e lasciar che il mondo canti.

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  1. [p. 129 modifica]Via molto frequentata.
  2. [p. 129 modifica]Questa parola è comunissima a Pistoia per accennare persona nota e di qualche conto, che non si vuol nominare; e qui risponde a capello all’ipse di Giovenale. — Del resto ho seguito la maggior parte degl’interpreti, che in questi versi vedono adombrati i bestiali amori di Nerone con Sporo, checchè dicano in contrario il Madvigio e il Kemfio.
  3. [p. 129 modifica]Vino molto in credito presso i Romani.
  4. [p. 129 modifica]Famosa manipolatrice di veleni. Essa preparò il fungo, col quale Agrippina avvelenò Claudio; e a lei ricorse Nerone, quando volle toglier di mezzo Britannico.