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prefazione xi

questo solo ci è noto, che studiò la grammatica e la rettorica: e pare che i suoi maestri maneggiassero bene, all’occorrenza, anche il nerbo;1 e non fossero men severi di quel bussatore Orbilio che fece scuola ad Orazio.2 Lasciata la nativa città, e fissatosi alla capitale, declamò, a detta di tutti, fino alla metà del corso di sua vita; cioè dette opera a quei vani esercizi e a quelle ostentazioni rettoriche, in cui erasi ridotta l’eloquenza romana, da che avea perduta la libertà dei Rostri e dei Comizi: e questo facea per semplice fantasia e passatempo, e non per prepararsi alla scuola o al foro, essendo egli in tale stato di fortuna da potere essere ascritto all’ordine equestre;3 e l’appellativo di facondo datogli da Marziale in un epigramma,4 dimostra che si era acquistato qualche nome nell’eloquenza. Fu probabilmente in questo tempo che strinse amicizia con Stazio e Quintiliano, dei quali parla con lode nelle sue Satire;5 e fece la conoscenza di Marziale che, a quanto sembra, non gli andò mai troppo a sangue, se deve giudicarsene dall’assoluto silenzio serbato dal Nostro sul conto dell’arguto e spiritoso autore degli Epigrammi, sebbene costui gli

  1. Sat. I, 15.
  2. Orazio, Epist. II, 1, 69.
  3. «Cum ad dignitatem equestris ordinis pervenire sua virtute meruisset». Così si legge in due delle antiche notizie.
  4. Lib. VII, 91.
  5. Sat. VI, 75 — Sat. VII, 83, 186.