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cviii prefazione

il contrario, mi farei bello di una modestia, che ognuno avrebbe mille ragioni di non creder sincera, e sarei smentito dal fatto stesso dell’avere acconsentito che il mio lavoro venisse alla luce. Però, non ad accattare indulgenza da quelli che vorranno farsi miei giudici, nè a temperarne il rigore, che invoco anzi severo per trarne profitto a migliorare col tempo la mia scrittura; ma per metterli sulla via di giudicarmi con piena cognizione di causa mi piace di dir con franchezza, da quali intendimenti io sia stato guidato nel condurre questa impresa. Secondo il mio corto vedere, chi piglia a volgarizzare un libro, deve tener più in vista i molti, che ignari affatto della lingua, in cui è scritto, sono nella impossibilità di leggerlo nell’originale, che i pochi, i quali avendo la fortuna di conoscere sufficentemente la detta lingua, posson da sè accostarsi a bevere alla natia sorgente, e non han bisogno, tutto al più, che di un aiuto per vincere con minor fatica certe difficoltà, che s’incontrassero sul cammino: al che nulla giova meglio che le versioni parola a parola, senza scrupolo, nè di stramberie, nè di barbarismi, nè di scontorcimenti. Ogni scrittore di vaglia, secondo che avvisano Dionigi d’Alicarnasso1 e Orazio,2 ha due perfezioni; la bellezza cioè e la piacevolezza. Consiste la prima più che altro nella

  1. Cap. X segg. Intorno alla composizione delle parole.
  2. Poetica, 99.