mi accadde mai di dover citare un nome italiano, eccettuato lo Scaligero: giacchè nè la prefazione del Cesarotti, nè la nota del Monti testè ricordate meritano per la loro brevità di entrare nel numero di cosiffatti lavori. Si fonderebbe però sul falso chi da questo deducesse, che Giovenale sia stato poco in grazia dei nostri letterati, ed abbia avuto in Italia meno amici e ammiratori che altrove. Trovo invece che dalle nostre stamperìe uscirono le prime e più numerose edizioni di lui; che qua ne furono fatti i primi commenti e le prime traduzioni. Fra i commentatori vanno innanzi a tutti per ordine di tempo il Calderini, il Merula, il Valla, il Mancinelli e il Britannico; tutti nostri, benchè il nome di alcuno suoni forestiero: e tutti ebbero l’onore di ripetute edizioni in Italia e fuori, prima che di là dai monti si cominciasse quasi a far nulla intorno a Giovenale. E questo favore dei nostri verso il Satirico Aquinate non venne mai meno dal risorgimento degli studj classici fino al presente, come si pare dalla schiera di tanti valorosi, che si volsero a darcelo tradotto in italiano. Il più antico tra questi fu il veronese Giorgio Sommaripa, la cui versione in terza rima fu stampata la prima volta a Treviso nel 1480, e poi novamente a Venezia nel 1530. Un altro volgarizzamento in terzine, quartine, e strofe libere e legate, e con ricco accompagnamento di note, usciva nel 1711 a Padova dalla stamperia del Seminario col nome del conte Cammillo Sil-