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68 | lettere di fra paolo sarpi. |
gato come cittadino al principe, che come cherico al papa. A rincontro insegnano i romaneschi, che per la susseguente obbligazione cancellisi la prima, e ogni altro si annulli pel giuramento prestato al papa; ripetendo il detto d’Innocenzo, che in qualsivoglia giuramento sottintendesi riservata l’autorità della sede apostolica. Ma di ciò altrove.
Rispetto all’avvertenza di V.S. che non sa veder via a mutamenti in Italia, certo che quella s’appoggia a gravissima autorità; ma i fati si faranno la via da sè stessi. Io, per dir vero, rimango in sospeso per contraddittorie ragioni, nè mi è dato d’indovinare il futuro. Il duca di Savoia col signor Desdiguieres, tennero per due giorni conferenze con chi può loro comandare: erano presenti 24 francesi, condottieri d’esercito.1 Nulla è trapelato delle fatte deliberazioni. Questa Repubblica brama la pace e detesta la guerra, come un malato il medicamento; e certo a ragione, dacchè non si sa se questo assecondi o travalichi le forze del paziente. Il duca di Savoia oggimai conosce che non può ottenere dagli Spagnuoli altro che denari, e di questi si cura poco.2 Ed io riesco sempre qui con le conclusioni: deliberano invero i mortali, ma l’evento è solo in mano di Dio.
Che sia per mulinare il vostro re, non per anco è dato congetturarlo: dà che pensare il mistero, e rende segno del sommo potere di sì alta sovranità.