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lettere di fra paolo sarpi. 67


Il giuramento, o professione di fede (come la chiamano), di cui la S.V. mi scrive, in Italia prestasi non solo dagli ammittendi a’ benefizi, ma dai predicatori, dai rettori delle scuole e (ciò che le recherà maggior meraviglia) da tutti i laureandi in legge, medicina, filosofia ed anche letteratura. Ed io credeva che presso voi non fosse in vigore, come quello che ebbe origine dalla Sinodo di Trento. Ma ci ha pur altro giuramento che fassi da vescovi, abati e altrettali aventi giurisdizione; e il tenore somiglia a quello che ha luogo nelle cose feudali. Perocchè giurano di difendere la vita e le appartenenze dei soggetti, guardare il segreto, rapportare ciò che ascoltano in contrario, proteggere i nunzi, sostenere il papa ec.; nè mai le verrà fatto di trovare giuramento più di questo magnifico ed esteso. Io porto avviso che l’istesso giuramento non si pratichi da voi altri, e di esso già feci menzione; giacchè quello che nella professione Tridentina di fede promette reverenza e obbedienza, par che abbia a restringersi alle cose spirituali. Ora, a ben considerare il ricordato, si trova ch’esso rende schiavo chi lo presta al romano pontefice, più che non sia a vecchio padrone qualunque antico vassallo.

Circa a quanto Ella asserisce sull’antichissimo giuramento di fedeltà al principe, che rimane, cioè, illeso, sebbene un altro simile prestisi al papa, io vo pienamente d’accordo; anzi penso che ogni uomo nasce suddito e obbligato d’amor quasi filiale alla repubblica, e che niun vincolo succedaneo può rompere o sminuire l’obbligo già prima contratto. Essendochè questo ha origine dal giure naturale; e però il cherico non isveste la natura di cittadino, e più è le-