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60 | lettere di fra paolo sarpi. |
con vivissima brama, e la prego a salutare l’autore di essi e padron mio.
Tanto era già scritto prima dell’arrivo del corriere. Da esso ebbi le ultime sue gratissime dei 5 aprile, e non posso astenermi dal tornare a riscriverle: tanto è il piacere che godo a conversare con Lei! Sono impiegato in molte faccende e vo scrivendo assai, specialmente pel corriere di costà; ma a niuno più alla dimestica che a Lei. Imito in questo Cicerone, gettando giù quello che mi viene alla bocca: del rimanente, metto da banda ogni arte, e troverà spesso strapazzato Prisciano dalla mia penna. Ma tiro avanti, sicuro d’averne da Lei scusa e perdono. Quando, però, ringrazio, io discorro sul serio; che tal mi sono da obbligarmi in perpetuo a chi mi fa beneficio; e quel che da altri ho ricevuto, non mai m’induco a dir mio. E però non mi passo del ringraziare la S.V. per la legge rimessami di Lodovico XI, la quale mi accorgo, per una anche sbadata lettura, dover tornare assai profittevole alla mia intrapresa. Ella dice di sapere che i nostri nacquero nel servaggio, e che quale non ha gustato la libertà non ne conosce i vantaggi. E ciò costituisce il principale impedimento a’ nostri sforzi: ma pur la natura tira l’uomo al franco vivere, ancorachè veduto sott’ombra. È indubitato che, come la Chiesa si formò pel verbo, così pel verbo drittamente riformisi: pure, a quel modo che i gravi morbi si medicano per mezzi opposti, la fiducia nostra è tutta nella guerra. Imperocchè a mali estremi si convengano estremi rimedi. Creda pure a me, che le cose veggo assai da vicino: non d’altronde può venirci salvezza. Niente però può farsi fuori