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lettere di fra paolo sarpi. 43

ne ha porto l’illustrissimo signor Legato, tuttavia spero che se ne presenteranno continuamente delle altre. Ora sono in faccende col signor Castrino per trovare un modo pratico da servire almeno un anno. In questo mentre, col divin beneplacito, altre si presenteranno.

Al presente son tutto intorno alle materie beneficiali, e mi lusingo di metter riparo non solo a quegli sconci che si reputano degni di cura, ma forse ad altri ancora. Parmi che Covarruvias abbia inteso pel suo verso la cosa, parlandone però a quel modo che consentivano i tempi e costumi. Io odio sopra ogni credere quegli artefici spagnuoli. Perocchè, qual bisogno v’ha d’andar dicendo che alcuna cosa può imprendersi in ragion di fatto, non di diritto, o in maniera straordinaria, non ordinaria, come porta tutto il capo 35 di Covarruvias? Non è cosa più ragionevole e alla Repubblica più conveniente, che il necessario a farsi si stabilisca piuttosto per legal giudicato, che di privata autorità? Io sempre ho più pregiata la consuetudine francese; che mi pare più salda e non conducente a disordini. Fa, invero, alle pugna col giure delle genti una conclusione siffatta; che, cioè, quel ch’è necessario a farsi e nasce da un bisogno pubblico, per dritto non ci sia permesso di farlo, e pure si possa fare. Cotesti ragionamenti mi sembrano simili a quelli di coloro che cercano se, a salute dell’anima, sia lecito commettere un peccato: giacchè, se s’adopera a salvar l’anima, per ciò stesso non si fa peccato; e se peccasi, questo non riesce davvero a salvazione dell’anima.

Ebbi le sue osservazioni sulla degradazione, come ho detto in altre mie. La cosa va proprio com’Ella