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lettere di fra paolo sarpi. 443

viene aver alcun riguardo, come a cosa non divina ma fraudolente; e esser gran cosa, che tutta la predicazione di Cristo Nostro Signore, e di tanti Apostoli, non è versata in altro, se non a dichiarare le promesse del Testamento Vecchio temporali si debbono intendere spiritualmente, e non di cose mondane; e adesso, tutto il contrario, non si ha altra mira, se non di tirar al temporale le cose spirituali da Cristo promesse alla Chiesa.1 Il signor principe mi parve fermato assai a questo, e passò a dire diverse cose delle correnti nel mondo; e io sempre mi valsi di questa risposta, che delle cose politiche io non intendevo, e che superavano la mia portata.

Volse sua Altezza introdur ragionamento delle differenze passate nell’occasione dell’Interdetto. Io risposi che erano sopite e scordate; ed egli replicò che il tentativo d’ammazzarmi mostrava che non erano scordate; ed io soggiunsi che quello era scordato più di tutto. E egli m’interpellò, se io amava quei di Roma, e se credeva esser amato da loro. Risposi, che dal canto mio non cadeva relazione di amore, ma che io gli osservavo e riverivo, come conviene alla loro grandezza. Qual pensiero essi avessero di me, io non l’aveva mai ricercato, bastandomi assai attender al servizio del mio Principe.

Disse il signor principe, che avrebbe caro che io li dicessi come intendevo che un principe non può essere scomunicato, e come si possa difendere che se il principe fosse indegno, non dovesse esser


  1. Ci accadde anche altre volte di riflettere, ma giova di nuovo interrogare: Ora che direbbe il Sarpi di quanto accade negli anni di grazia che noi contiamo; in questo sì sfolgorante e tanto di sè vano pomeriggio del secolo XIX?