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lettere di fra paolo sarpi. | 431 |
Quello che costì accadde trenta mesi or fanno, rispetto al soldato ch’Espernon cavò a forza, spezzatene le porte, dalle prigioni pubbliche, è a noi ben noto; ma non sappiamo come la faccenda finisse. Io mi pensava (come incontra, quando le leggi tacciono) che il dritto avesse soggiaciuto alla violenza; ora, dalla lettura degli Atti del Senato inviatimi dalla S.V., rilevo che costà giunse la novella della mala ventura, ma non della riparazione al torto, che avvenne, con mio piacere, in quell’istesso tempo. Ammiro la fermezza del Senato nel patrocinare la sua dignità, quando la invocazione delle leggi tornerebbe vana e malsicura.
Niente dico della fortezza e prudenza della S.V.; dalle quali mi prometto assai maggiori imprese. Ma non posso tenermi dal lodare l’egregio temperamento opinativo della S.V., pel quale si soddisfece del pari ed al regio precetto e al decoro del Senato, i quali pareano insieme pugnanti. L’aver trovato in sì corrotta stagione tanti che venissero nei concetti della S.V., non potendo io credere a sì gran purità, lo attribuisco all’ottima estimazione ch’Ella gode. Io non lusingo punto, e il più delle volte, come ora, dico meno di quel che sento; ma confesserò ingenuamente, che, siccome ho reso sempre buon testimonio alla sua virtù e costanza, così tengo che la S.V. imprenderà con sommo accorgimento cose maggiori; massime oggi che è andata in fuga la tirannia e rifulsero i raggi della libertà. E tanto osservo riguardando alle condizioni nostre; perocchè abbiamo bisogno di chi ci vada innanzi ad esempio: quantunque neppure voi altri abbiate ragioni di star troppo contenti circa questo rispetto.