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420 | lettere di fra paolo sarpi. |
a noi solo per via della Rezia; il qual passaggio è impedito dai ministri regi, ai quali importa salvarci e che certamente ci avvantaggerebbero, quando non avessero sorbito l’aureo Diacattolico. Io però mi consolo al pensiero che, a prova fatta, le buone venture sperate si convertono in danno e le male in felicità; e mi vo rammentando che noi uomini siamo posti quaggiù, per rilevar dagli eventi la volontà di Dio e a quella conformare le nostre operazioni. E avverto ancora, che non s’adopera saviamente da coloro che furon causa de’ vostri e de’ nostri mali; che i re maggiorenni non prevalgono per sapienza, e più pregiano gli schiavi che i liberi; nè il numero dei dappoco restringono, che dànno fondo a magnifiche ricchezze. Ma rimettiamoci alla provvidenza di Dio.
Ho notizie dall’amico sull’arcivescovo di Spalato, posteriori alla sua partenza. Conversò con lui intimamente, e vide alcuni suoi libri da divulgare. Mi assicurò che sono scritti senz’affettazione, senz’aria di disputa; astiensi da ogni parola aspra; sostien reciso solo le opinioni proprie, e tutto prova pei documenti dell’antichità. Non ne lodò per altro la prolissità, ch’è forse soverchia; nè la titubanza o ansietà d’animo, cui l’autore confessa ingenuamente, ed io ammirerei quando fosse vivuto in Francia, dove a nessuno è vietato lo scambio del parlare e dell’ascoltare. Ma in luogo dove gli uomini sono privati fin dalla culla della facoltà di pensare, mi fa caso che un Dalmata (gente che più prevale per forza materiale che per ingegno), e allevato negli ergastoli de’ Gesuiti, siasi potuto districar dalle tenebre. Per riguardo a tali difficoltà, fo giudizio