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lettere di fra paolo sarpi. 409

CCXLIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Io ho, dopo la partita di Gussoni, tralasciato di scrivere a V.S. e agli altri amici, non perchè io abbia per sospetti diversi modi che sono d’inviare lettere a loro, ma per non mi assicurare di lasciar capitare qui lettera direttiva a me in pieghi privati. È necessario usar circospezione, anco per non parer di non tener conto degli avvertimenti che vengono dati.2

Di nuovo delle cose del mondo non ho che dirle, se non che sicuramente le armi che sono in Italia, inverneranno. Potrebbe essere che si mandassero alle case loro qualche fanti paesani; ma li cavalli, li fanti forestieri e li napolitani, si manterranno senza dubbio.

Li Turchi fanno progressi in Transilvania più perchè non hanno opposizione, che per aver gran forze. In Constantinopoli minacciano di far una grossa armata marittima per la primavera seguente, per vendicarsi dell’affronto ricevuto per la presa delle sette galere; e s’affaticano a fare gran preparamenti, li quali non son fuora di pensiero che non possano riuscire simili a quelli dell’anno passato.

Scriverà a V.S. monsieur Assellineau quello che pensiamo mandar fuori intorno li Gesuiti. Io la prego,


  1. Pubblicata nella raccolta di Ginevra, pag. 569.
  2. Notabile espressione, e che sembra accennare alla soverchia meticolosità dei patrizi veneti. Questo antipolitico sentimento fu il primo sintomo della decadenza della Repubblica, e diè fomento alla congiura tramata dagli Spagnuoli; la congiura accrebbe i timori; e il timore, divenuto regola di Stato, troncò a poco a poco i nervi tutti di esso.