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lettere di fra paolo sarpi. 29

aumentano ogni giorno le forze dei fautori della curia; perchè, come ne avverte Tacito, tutti si accomodano più risolutamente a chi porge; e se la cosa andasse avanti di tal passo, sarebbe invero a temersi per la nostra libertà. Ma è pur fuori di dubbio che le cose accadono per divino beneplacito: il suo fine ci è ignoto: contuttociò, si deve cercar sempre con ogni studio e sperare il meglio.

Io non sono tale che professi pubblicamente d’intendere l’Apocalissi, perchè neppure son re;1 e quanto al durare di essa in perpetuo, o solo sino al suo fine naturale, sia come congregazione di Pietro, o come Babilonia, appoggiandomi piuttosto a congetture umane, giudico ciò dipendere da un sottil filo; cioè dalla pace d’Italia. Voi di qua lontani non potete intendere quello che a noi si mostra chiaramente. Vogliate credermi: una volta mossa la guerra in Italia, vinca il pontefice o sia vinto, non importa, la cosa è spacciata: essi medesimi il sanno; perciò nessuno, come una volta, va provocando la guerra per accrescere alcun che del suo patrimonio; vedono anzi che colla guerra rovineranno da sè stessi la loro casa. Ora versano in grande tristezza, poichè alcuni pronosticano la guerra da parte del duca di Savoia coll’aiuto de’ Francesi. Io, siccome non credo che sia per accadere, così stimo che il rammarico della curia è motivato da gran ragione. Soltanto colla pace, come altre volte colla guerra, si sostiene l’Italia: imperocchè in questa, non come negli altri paesi, si guerreggia con soldati, armi e danari degli altri; sicchè, qualunque parte vinca, vince mai sempre in Italia;


  1. Allusione alquanto pungente al re teologo Giacomo I.