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316 | lettere di fra paolo sarpi. |
Io credo di averle scritto che la censura dei vescovi non piacque punto a Roma, anzi la riprovarono; e che alla Curia garberebbe piuttosto non si fosse fatto nulla. Perocchè hanno moltissimo a schifo che s’affermi la esistenza per certe chiese di alcune libertà, o di regii diritti che possano resistere al volere, per non dire al capriccio, del papa. Se si pubblicheranno la censura e i documenti d’appello, e sarà conceduto al Richer di provare le sue opinioni con l’autorità dei dottori, nulla potrà avvenire di più opportuno alla manifestazione del vero. Non possono mancar dottori, e d’ogni paese cristiano de’ tempi antichi; e quantunque i Gesuiti riescano a dividere in parti la Sorbona, questo non farà loro buon pro. Dacchè ad essi è mestieri d’aggiramenti e di segrete ritortole per mandare a fine i propri disegni; e le loro dottrine, siccome false, non possono afforzarsi e prosperare se non fra le tenebre.
Parmi difficile a digerire quel ch’Ella mi scrive sulla dimanda del Nunzio, che tutte le cause de’ Gesuiti da cotesto Parlamento vengano devolute al Consiglio del re e affidate alla corte di Roano; e, per ciò che a me spetta, sarei di credere che, per la età minorenne del re, ciò non possa drittamente farsi. Trattasi della dignità del Senato, che fu sempre il fondamento dello Stato francese. Se vedessi anche questa, vivrei in timore che Roma e Toledo venissero a trapiantarsi nel suolo di Francia. Ho grande ansietà di vedere e sapere i fatti ulteriori; e supplico la S.V. di tenermi via via ragguagliato d’ogni cosa che avvenga.
Io non comprendo bene la grande importanza