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lettere di fra paolo sarpi. 305

CCVII. — Al medesimo.1


Già quindici giorni, ricevei quella di V.S. delli 29 marzo, alla quale fui impedito di rispondere per una repentina occasione che mi sopravvenne di uscire di Venezia. Pregai monsieur Assellineau che facesse mia scusa con V.S.; il che credo avrà fatto. Con questo corriere ho ricevuto l’altra delli 15 aprile. In quello che tocca li Gesuiti, credo che V.S. sarà stata a pieno sodisfatta per quello che le mandai con la mia del fine di marzo. Le dirò di più, che seguitano offendendo la Repubblica non solo in prediche per Italia, ma, quello che più importa, fanno uffici sinistri e pericolosi in Costantinopoli.2 e hanno avuto parte nel tradimento del quale V.S. avrà inteso parlare. Il proceder dolcemente in Parigi, senza nissun dubbio (siccome V.S. prudentemente giudica), è coperto di qualche cattivo disegno. La causa della navigazione ha fatto il suo tuono, ma, contra la mia espettazione, cammina a concordia. Insomma, ambidue vogliono quiete.

Vengo alle cose di costì. Del libro di Richer se l’appellazione seguirà, sarà un passo di gran considerazione; ma io dubito che sarà impedita dalla regina, e che vi si adopereranno Villeroy e Sillery:


  1. Dalla raccolta come sopra, pag. 470.
  2. Sembra allusione ai dissapori che cominciavano a sorgere tra Venezia e la Porta per cagione degli Uscocchi, rimproverando questa alla prima di non fare quant’essa avrebbe potuto per liberare da quei pirati l’Adriatico. Non è, poi, difficile che i Gesuiti si studiassero di accrescere questa mala disposizione de’ Turchi, per isvolgere la loro attenzione dalla politica austriaca, sola colpevole che quella calamità e quei misfatti si continuassero.
Sarpi. — II. 20