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lettere di fra paolo sarpi. 277

da tutti quanti. Ben ciò è chiaro e manifesto a ciascuno: laonde faccia ch’io non sia privo di un tanto piacere. Aspetto anche gli atti del Senato, che V.S. mi aveva promesso e torna a promettermi.

Dei due Concilii pisani di cui mi accenna, credo volersi parlar soltanto di quello che fu celebrato un secolo fa. Del primo, nel quale fu eletto Alessandro V,1 non vidi mai gli atti. Del secondo, una volta soltanto mi accadde di esaminare alcuni frammenti; e stimo che non abbia gran valore, dacchè Massimiliano Cesare lo ripudiò, e il regno di Francia non gli mantenne l’obbedienza, e lo rinnegarono perfino gli stessi cardinali che n’erano stati autori.2 E sebbene la Chiesa non debba governarsi cogli esempi, ma coi canoni e con le ragioni, nè sia prudente il giudicare le cose dal loro esito; tuttavia non so per quale pessima usanza, gli esempi e gli eventi ai ben fatti Concilii ed alle ragioni vengano preferiti. Ma siccome desidero ardentemente che V.S. mi mandi tutte le cose di cui mi parla, così sto in forse circa il modo del mandarle. Per mezzo dei vostri librai le non arrivano qua sicuramente; dirigendo essi le loro merci a Francfort, dal qual luogo è mestieri, che, per venire a noi, passino per Trento; laddove i romaneschi hanno ministri i quali esaminano colla massima diligenza i libri indirizzati a Venezia, ed


  1. Nel 1409.
  2. Parlasi del famoso Concilio di Pisa, celebrato, ad istanza del re di Francia, nei tempi in cui la repubblica fiorentina era governata dal Soderini. Il Machiavelli, poco zelante dell’ortodossia e poco ancora sollecito delle riforme (cioè delle ecclesiastiche), ne parla sempre come di una grande imprudenza, che avrebbe attirato, siccome avvenne, calamità novelle sull’Italia e sulla sua patria medesima.