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18 | lettere di fra paolo sarpi. |
modo col quale accrescerebbero il dominio della Repubblica; come accadrebbe per altrettanto e metà più, non per dilatazione di luogo (il che porta debolezza), ma per augumento di forze. Perocchè, non pure il pontefice è signore di tutti i beni, ma eziandio della terza parte degli uomini, se numeri quelli che posseggono, che sperano e che a necessità di tal sorta si trovano obbligati. Non mancano persone che approvino queste cose, ma l’esecuzione richiede la sua opportunità. All’uomo più dell’odio, nuocciono le blandizie della meretrice. Tant’è: le opinioni veraci ed utili si debbono rafforzare ed estendere coi buoni scritti.
Io pensai sempre fra me stesso: tutti quelli che vogliono darci precetti politici, scrivono commenti sopra Tacito; vera peste dell’aristocrazia. Se il signor Casaubono che scrive sopra Polibio, il quale tratta della aristocrazia romana, recasse in mezzo precetti idonei a tal regime, ed espressi colla sua dolce e fluida eloquenza, farebbe cosa a noi tanto proficua, quanto ai romaneschi contraria: come se, intorno all’affare del quale trattiamo, egli facesse opportunamente osservare, che a nessuno Stato può giovar che un principe straniero doni i beneficii in esso costituiti, nè che sia padrone dei religiosi i quali vivono sotto le sue leggi. Del rimanente, per quanto si possa, e serbato appunto il diritto di mettere in possesso, ci sforziamo di non cedere ai romaneschi ogni cosa. Eglino ci pregiudicano tanto col sofisma del possesso spirituale, quanto, con altro arcano diritto, non soffrono che si susciti alcuna lite sopra le cose beneficiali. I nostri prendono ciò pel buon ordine della disciplina, benchè io ammonisca che questo