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236 | lettere di fra paolo sarpi. |
cioè che il signor Barbarigo venga ambasciatore costì;1 che non tanto per il suddetto rispetto, quanto per molti altri più importanti mi sarebbe carissimo. Però non voglio, sotto la speranza del maggior bene, lasciar il certo, se ben minore.
È molto desiderato qui l’Anti-Cottone: ognuno aspetta fatica molto degna, per il gusto che si ha avuto della prima. Non può esser che il libro di monsieur Servin non sia cosa utile,2 per li particolari che V.S. scrive a monsieur Assellineau. Dell’Anti-Gesuita non abbiamo ancora udito nessuna nuova. Mi pare che altre volte uscisse un tale di Germania, ma cosa assai dozzinale. Finalmente, tempo sarebbe di lasciar le parole e attendere ai fatti, di che però non veggo l’opportunità; e le parole sono, come prudentemente dice V.S., le maledicenze nel seminare del basilisco:3 ma chi non può valersi d’altro è scusato. Non si può scusare il re d’Inghilterra, che si vale di quest’arma potendo adoperarne delle migliori, se bene volesse astenersi dalle taglianti.4 Una
- ↑ Cioè in Francia, essendo allora il Barbarigo ambasciatore a Torino.
- ↑ Il Servin fu tra gli amici letterati e corrispondenti del Sarpi, e ne abbiamo già toccato alle pag. 36 e 68 del Tomo I, nota 1 e 2. L’opera più recente in quei giorni di quel zelantissimo magistrato, che morì ai piedi di Luigi XIII difendendo la causa della libertà, era la nominata Remostrance (del 26 novembre 1610) contro la dottrina allora messa in campo dal Bellarmino; ed anche tra le sue Arringhe, una ve n’ha contro i Gesuiti, che porta la data del 1611. Ma vedasi presso al fine della Lettera CLXXXVI.
- ↑ Così ha la prima stampa. Maledicenze starà, forse, per scongiuri contro la supposta jettatura del supposto basilisco.
- ↑ Conferma dei giudizi altre volte espressi nelle Lettere XIX, LXXXI ec.