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234 | lettere di fra paolo sarpi. |
domandato; la Repubblica l’ha donato, avendolo cavato di prigione, senza dir niente all’Inquisizione, al Nunzio nè altro ecclesiastico: ch’è passo maggiore che mai sia fatto; perchè l’ufficio sin ora è dipenduto da Roma, se bene la Repubblica ha l’assistenza, e con quella impedito la tirannide. Avergli aperto la prigione senza dir niente, è cosa grandissima: ma chi l’ha fatto, non ha pensato la conseguenza. Se il papa tacerà, è perduto; se dirà, ovvero perderà tanto più, ovvero si romperà. È negozio maggiore che di Ceneda, perchè in questo il papa si vale col sopportare, e portar tempo in oltre.
Mi è venuto occasione molto propria di parlare con il successore di Barbarigo; il quale è persona di molta capacità, e m’ha ricercato d’aver per mio mezzo comunicazione in Francia nel tempo che sarà in Torino; e io li ho fatta menzione del signor De l’Isle, in maniera tale ch’egli m’ha pregato instantissimamente di volerlo supplicare a riceverlo per amico, e incominciar corrispondenza seco nel tempo che sarà in quel luogo, mostrandomi aver appunto desiderio di persona sensata, che gli sappia giudicare le cose. Ma appresso di questo, egli avrebbe molto caro aver una persona che di Parigi lo avvisasse delle cose occorrenti, acciò le sapesse alli suoi tempi frescamente. Sono andato pensando che per mezzo del medesimo signor De l’Isle vi potesse avere qualcuno che invíi colà le sue lettere; perchè, per ogni buon rispetto, avendo un ambasciatore papista in Francia, conviene servirsi di quello di Torino per fare qualche cosa di bene per la Religione; e prego V.S. che di questo mi dia qualche risposta, avvertendola che mi sarà grata quella che gli piacerà darmi.