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lettere di fra paolo sarpi. 11

senza qualche disegno che non possa esser impedito da chi s’accorge dell’error suo tardi. Sebbene non so se debba chiamar errore quello che pare; ma forse è fatto per necessità occulta agli altri, ma ben nota a chi la sente. Io mi ricordo di quel Romano che solo sentiva la voce della sua scarpa. È savio chi conosce le sue indisposizioni, e le temporeggia senza manifestarle, e non fa mostra di sanità, perchè non li riuscirebbe forse. E li Gesuiti non stanno attaccati a cotesto regno per le radici fatte dopo il loro ristabilimento, e per i favori del re; ma per più alte e più ferme, messe nelli tempi innanzi: le quali fu prudente consiglio (poichè non si potevano sbarbicare) coprirle di terra, se adesso non germogliano; e forse anco è meglio lasciar loro le foglie che gettano, per timore che non ingrossino maggiormente il fusto.

Quanto a noi qui, non sentiamo che trattino alcuna cosa del loro ritorno in questo Stato, non credo per averselo scordato, ma perchè non hanno forse a segno tutti li pezzi per dar la batteria: la quale non dubito che non sia per succedere; ma se con quella faranno breccia o non, essendo evenimento futuro, resta posto nella buona volontà di Dio. Chi attendesse la loro onnipotenza e l’aver sempre ottenuto ogni disegno, farebbe un pronostico: chi avvertisse la risoluzione che continua qui, farebbe il contrario; e alcuno potrebbe, tenendo via di mezzo, dire che se le cose del mondo terminano in fumo, essi avranno avvantaggio; ma se ne riuscirà fuoco o fiamma, non farà per loro.

Il signor Molino ha ricevuta la sua lettera, e li è stata molto cara, e li è piaciuto quello che del Menino dice, per aver occasione di confortarlo. Adesso