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lettere di fra paolo sarpi. 167

cosa non può eseguirsi, si faccia almeno la seconda: sebbene io non dubiti che quanto si scrive a Roma dovrà egualmente condannarsi; ma pur non si farebbe così gran danno a quelli che contraddicono, come a quelli che tacciono. Oh! potessimo noi in siffatta quistione parlare, e gustare d’una particella di vostra libertà! I nostri costumi non si confarebbero, è vero, a’ vostri; ma agl’Italiani garberebbero più. Io per me tengo che tutte le controversie religiose che turbano il mondo, vadano a risolversi in quest’una: del potere del papa.

Mentre s’affannano a tôr di mezzo il libro del Bellarmino, ne favoriscono lo spaccio: tanto oggi è cercato da tutti. Io, in tutti questi giorni, mi son dato attorno per trovarne un esemplare per Lei, e provai sommo rincrescimento disperando di potervi riuscire: finalmente ho trovato questo che mando, preso ad un amico che lo custodiva come un tesoro. Questo mi sorprende, che il nunzio abbia menato costà tanto scalpore, mentre il nostro non ha aperto bocca, e il papa non ha fatto alcun richiamo all’ambasciatore di questo principe. Sono costretto a chiudere la presente per la imminente partenza del corriere, eccitandola ad informarmi appuntino di quel che si farà o dirà su questo punto, e ad inviarmi ogni decreto in iscritto che si metterà fuori dalla Sorbona o dal Parlamento. Stia sana, e mi continui la stessa benevolenza.

Venezia, 7 dicembre 1610.

P.S. — Qui dappertutto leggesi il libercolo1 di-


  1. Cioè la Supplica, o Libellus supplex, più volte nominato nella precedente e in altre Lettere.