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lettere di fra paolo sarpi. 145

Nè ignoro tuttavia che molti e buoni e forti Francesi rimangono tuttavia, tra i quali non è dei secondi la S.V., che non abbandoneranno, io spero, la causa pubblica; come di cuore desidero, ben comprendendo che le vostre feste, secondo il proverbio, saranno ferie ancora per noi.

Sto aspettando a braccia aperte il nipote della S.V.,1 per imparare a conoscerlo ed accoglierlo come signore e come fratello. Voglia Dio concedermi la grazia di rendergli quegli omaggi di cui sono debitore! Certo porrò ogni sforzo per fare ch’Ella possa conoscere quant’è la stima e la gratitudine ch’io so e professo di averle.

Del rimanente, se non temessi di riuscirle molesto, mi condurrei a scriverle più spesso; ma questo timore fa sì che mi contenti d’essere dagli amici assicurato della sua buona sanità, e d’inviarle per tal mezzo i miei saluti. Ma nulla mi sarebbe più caro che il ricevere spesso sue lettere, nè di più conforto che il rispondere. Un non so che d’arcano mi porta a volerle bene; talchè, se potessi parlarle una sol volta, l’avrei per vera beatitudine. Dio faccia goderle a lungo tutta quella prosperità, per la quale io non manco di far voti alla Maestà sua Divina. E conservi la usata sua benevolenza a chi la onora singolarmente.

Venezia, 22 ottobre 1610.

P.S. Veda se le scrivo alla sbadata e con familiarità certo soverchia, avendo dimenticato cosa che non era da dirsi tra le ultime: cioè che aspetto con


  1. Del quale sarà parlato nella Lettera dei 7 dicembre.
Sarpi. — II. 10