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142 | lettere di fra paolo sarpi. |
dacia dei cattivi. Imperciocchè i Gesuiti non solo ne divennero più insolenti presso di voi, ma presero a stringer più forte noi stessi; sempre con quel loro caparbio ed unico proposito d’imporci sul collo il giogo pontificale. Vivente il re, ciò facevano come di soppiatto: lui tolto di mezzo, vi rimessero mano sotto gli occhi di tutti. Perocchè subito il Bellarmino, col pretesto di difendere i suoi scritti dagli attacchi del Barclaio, prese a trattare della potestà del papa nelle cose temporali, dando fuori, in meno di venti giorni, un suo libello; in cui, le cose medesime che già sussurravano alla spartita e timidamente contro la maestà de’ principi, ora strombazzano alla sicura e tutte insieme raccolte.
Abbiamo adesso in quel libercolo la intera tregenda, e classata per nazioni, di tutti coloro che da dieci anni appigionarono al papa le loro lingue ribelli; e cui egli, il Bellarmino, manda a sè innanzi, e quasi veliti, a scaramucciare succinti, e tuttavolta armati di santità e di titoli di dottrina eccellente. A questi egli tien dietro, traendo in trionfo re e principi vinti e malmenati; i quali egli afferma non solo potersi dal papa scomunicare, e dal regno e dall’impero rimuovere, se ciò meritino le loro colpe, ma eziandio per la imperizia del governare, per debolezza o inettitudine, e per qualsivoglia altra cagione che al papa sembri dover tornare di pubblico vantaggio. Oramai l’autore dell’Anti-Cottone1 non si affatichi più nel dimostrare l’equivoco che si racchiude ove dice doversi obbedienza ai principi, senza dichiarare però di quali principi si parlasse. Il Bel-
- ↑ Vedi la nota 2 a pag. 134.