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lettere di fra paolo sarpi. 109

l’utilità che lor reca, e in quello di molti altri per forza di superstizione. Non farei mai fine se volessi ricordare tutte le massime con che i Gesuiti intendono a regolare il sagramento della penitenza. Ben è da pregarsi Iddio che voglia eliminare una siffatta peste dal mondo; com’io lo supplico a voler mantenere incolume la S.V. eccellentissima. Godo che il signor Casaubono sia fuori di ogni pericolo; e caldamente raccomando di volergli fare le mie congratulazioni, co’ miei cordialissimi saluti. Stia sana.

Di Venezia, a dì 3 agosto 1610.




CXLIX. — A Filippo Duplessis Mornay.1


Non senza afflizione dell’animo, mi accorgo che lo zelo della pura Religione va negli uomini di queste parti raffreddandosi: il che ci dimostra o che esso non procedeva da Dio, o che noi siamo decaduti da quella grazia ch’egli aveva in noi cominciato ad operare. Se di ciò, poi, vorremo discorrere secondo le ragioni umane, due troveremo esserne le cause: l’una, che la nota meretrice2 avendo spe-


  1. Dalla Corrispondenza più volte citata, e colla stessa credibile indicazione: De Padre Paulo. È anzi fra quelle che dai nemici della memoria del Sarpi, non meno acerbi di quelli ch’egli ebbe mentr’era in vita, sono più gravemente incriminate di protestantismo, e della maligna (taluno anche disse proditoria) intenzione d’introdurre in Venezia e in Italia la riforma. Noi lasciamo che ne facciano da sè giudizio i lettori, abbastanza d’altra parte illuminati per quello che altri ne ha detto nella Prefazione.
  2. Questa qualificazione di meretrice applicata alla curia romana è ancora nella Lettera CXX, diretta al De l’Isle (tom. II, pag. 3). La usarono anche Dante e il