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106 | lettere di fra paolo sarpi. |
comandato di ammazzarlo. Queste erano le cose da spiegarsi; ma a che pro desiderarlo? Costoro non parleranno mai tanto esplicito, che non siensi riserbato qualche angolo dove rincantucciarsi.
A tali uomini io non darò fede mai, finchè avrò a mente il contegno del Bellarmino e del Richéome. Costui, pressato da una perentoria interrogazione fattagli dall’autore del Franco ed ingenuo Commentario cioè che cosa i Gesuiti avrebbero fatto se qualche papa avesse perseguitato un re di Francia, come Giulio II fece con Lodovico XII; liberamente rispose, ch’essi farebbero quello stesso che fecero i buoni Francesi di quel tempo. Il che avendo io obbiettato al Bellarmino, rispose ch’io non aveva ben afferrato il pensiero di un sì gran padre; giacche per buoni Francesi egli aveva inteso quelli che allora rimasero fedeli al papa. Come vorrebb’Ella potere afferrar Protei di tal natura, ai quali è lecito il mentir nome ed abito e professione; che la menzogna non iscusano soltanto ma lodano, e che stimano esser lecita ogni cosa che miri, secondo loro, a retto fine?
Dissi che il Mariana è un trastullo, quando si paragona con gli altri Gesuiti; ed Ella mi chiede di segnalarle il passo, al quale io alludeva, del Suarez. Esso trovasi nella Disputazione 15, Questione 6, e contiene: che ai sudditi è lecito armarsi contro il lor principe, non solo se il papa ciò comandi o permetta, ma col suo futuro beneplacito; cioè quando credano che a lui sarà cosa grata e da riportarne approvazione, sebbene non abbia osato di manifestar ben prima il suo desiderio. Vedrà nello stesso luogo (cosa più ancora da esecrarsi), che quando alcuno viene scomunicato, resta insieme sospeso da ogni giu-