non si appigliavano a servir lo straniero, come il Montecuccoli o il principe Eugenio. Ma Machiavelli fu segretario d’una repubblica che si spegneva, e Sarpi consultore di un’aristocrazia già vizza e debilitata. Ferruccio e Paoli sarebbero stati autori dell’indipendenza di una nazione, ma non potettero salvare due piccioli popoli; Tanucci e Fossombroni furono grandi ministri di piccioli principati. Ma tutti costoro si racconsolavano nella santa memoria della grandezza romana, e forse nella speranza di un italico risorgimento. Certo non senza lagrime io leggo ne’ discorsi su le storie di Tito Livio del buono e infelice Giannone, scritti nella prigione ov’era tenuto dal governo piemontese a petizione di Roma, la sua candida e generosa speranza fondata sul valore dei principi sabaudi e de’ loro popoli, che avesse l’Italia a risorgere; nè sperava meno in que’ tempi un altro italiano della stessa provincia del Sarpi, Scipione Maffei. Giunti a conseguire quello che codesti valenti uomini hanno bramato e sperato, non dimentichiamo le loro fatiche, e veneriamone la memoria. Scrivere una Storia del pensiero italiano da Pier delle Vigne insino all’epoca nostra, sarebbe opera utilissima alla nostra nazione, ed argomento degnissimo di una mente capace. La nostra unità nazionale non è venuta su d’improvviso; e come noi cominciammo l’epoca della civiltà co’ Comuni della Lega Lombarda, così siamo destinati a cominciare un nuovo periodo nell’Europa che si rinnova. La nostra grande conquista è la libertà della Italia e