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fra paolo sarpi. xxxix

potestà, sia al tutto sovrana, e, come diceva nell’altra lettera, uno Stato; e perciò il principato civile sia incompetente del tutto in quelle cose, e non abbia la Chiesa neppure a voler l’aiuto del suo braccio, affinchè non si mescolino le due tanto distinte e diverse potestà. E per fermo, se Cristo avesse voluto instituire una Chiesa signora dello Stato, o a cui lo Stato dovesse suggettarsi, o vogliam dire una Teocrazia, non l’avrebbe instituita e fattala per tre secoli fiorire più che mai in grembo di un impero inimico. Egli è perciò che il Sarpi senza scrupolo desidera che i Riformati abbiano per ogni dove la libertà civile, e piglia a cuore i loro interessi, e vuol porre un termine allo strapotere dei governi che li perseguitavano, o a gran pena s’inducevano a tollerarli, quando invece era giusto che fossero pareggiati ai Cattolici; e duolsi liberamente che i Veneziani preferissero il pericolo d’una morte repentina (come poi accadde a quella Repubblica) all’impresa di riformare le loro leggi, non contentandosi di difendersi dall’ambizione papale, ma recidendole i nervi e gli appicchi nel lor territorio. Qui si vede l’eccellenza del Sarpi sopra i Gallicani; come nel tollerare le imperfezioni nella Chiesa contro alle sentenze calvinistiche del Casaubono,1 abbiamo una nuova prova del suo sentire cattolico, comechè non sia papista mai, e propugni l’autorità del Concilio so-


  1. Lettera CXLIII.