Ad appoggiar quel che ho detto, allego un altro passo del Sarpi: «Quanto al dubbieggiar ch’ella fa sul menar buono o no alla Chiesa il vocabolo di potere, in verità è cosa di momento. Sarebbe da passar sopra ai vocaboli, se per la loro storsione i perversi non si gittassero ad abusare ancora le cose; come dacchè si arrogarono il nome di Chiesa, fecero eziandio proprii esclusivamente i beni sparsi nel dominio di tutta la Chiesa, o che erano destinati al mantenimento di tutti i ministri. Io, comunque abbia moltissimo a noia l’abuso della voce τό, potestas, pure non giudico si abbia affatto a scartare, essendosi valso due volte il santo apostolo nella IIa ai Corinti del vocabolo ἐξὅβίας, cui egli adopera, fatto verbo, anco nella Ia col significato di imperare e dominare; sebbene io una volta, nei miei abortivi lavori, usassi più volentieri la frase: ministero ecclesiastico. Da qui le ire de’ romaneschi; sopra tutto poi, perchè non menai ad essi buona l’autorità coattiva verso dei sommi imperanti od altri, salvo che per privilegio dei medesimi.1» Per intendere quel che qui dice, fa d’uopo considerare che ogni potere è della natura medesima del subietto cui si riferisce, essendo un mezzo datogli per adempiere alla sua destinazione: quindi non dee fare ostacolo l’adoperare l’Apostolo una parola così grave e imperatoria, e se ne ha da inferire che in quello in cui la Chiesa ha propria
- ↑ Lettera CIX.