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338 lettere di fra paolo sarpi.

spesso soggette a mutamenti, piacerebbemi essere ragguagliato della usanza attuale, e tornerebbemi gratissimo e vantaggioso l’avere un esemplare di qualche regia donazione concessa per antico a vescovi e abati di Francia: donazione, dico, reale, e non semplice infeudamento.

Qui nulla di nuovo; tutto tace. Il papa, che sembrava nemico alla Repubblica, ora fa mostra di grandissima benevolenza, che quasi tutti prognosticano perpetua. In Ispagna poi hanno messo mano a faccenda rischiosissima, col pretendere di cacciar via dai regni e trasportare in Affrica ogni razza di Maomettani.1 Mi fa altissima meraviglia, per ciò che a religione s’appartiene, che ardiscano porre persone battezzate, quantunque non abbastanza credenti, nei luoghi degl’infedeli, ove lasceranno il nome e la professione cristiana. Oltre di che, mi mette spavento il numero: non si tratta di dieci o dodici mila, ma di dugento mila. Il Cielo voglia che questa riesca infruttuosa medicina verso un male in vero grave, ma superiore alle forze del malato! Il principe dei Turchi mandò a morte più ribelli che, avutone il perdono, si recavano a lui: la qual cosa se porterà terrore agli altri perchè s’arrendano, o stimolo di fermezza affinchè non si fidino, non può risolversi.

Io prego Dio che largisca ogni prosperità alla S.V. eccellentissima, e a me dia forze di fare alcun che a dimostrazione del mio ossequio. Stia sana.

Venezia, 10 novembre 1609.




  1. Vedasi la nota a pag. 328.