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312 | lettere di fra paolo sarpi. |
ad annientare questo ragionamento. La prego a illuminare la cecità mia; e se la S. V. vede la fallacia del discorso, rimangasi dal leggere le considerazioni seguenti, che sono esplicamento a questa mia piuttosto opinione o sospetto, che risoluzione.
Io immagino che il regno e la chiesa siano due Stati, composti però degli stessi uomini; al tutto celeste l’uno, e terreno l’altro; aventi propria sovranità, difesi da proprie armi e fortificazioni; di nulla posseditori in comune, e impediti di muoversi, comecchessia, scambievolmente la guerra. Come s’avrebbero a cozzare, se procedono per sì diversa via? Cristo ebbe detto che Esso e i discepoli non erano di di questo mondo; e (argomento per noi di chiari e lieti riflessi) Paolo santo dichiara che il nostro conversare è nei Cieli.1 Tolgo qui la voce Chiesa per riunione di fedeli, e non di preti soltanto; chè ristretta a questi, non è più il regno di Cristo, ma porzione di terrena repubblica, e però soggetta alla somma autorità, cui stanno proni anco i laici. Può annettersi una significazione ambigua a questa frase chiesastico potere: perocchè se s’intende quello pel quale amministrasi il regno di Cristo, dei Cieli, esso a niuna autorità soggiace, a niuna sovrasta, in niuno può dar di cozzo, se ne togliamo Satana, con cui ha guerra continua; se quello, poi, onde s’indirizza la disciplina dei cherici, esso non è potestà sul regno dei Cieli, ma parte della repubblica. E così pare la intendessero i capi dell’uno e dell’altro impero, i re dei Goti, e sopra tutti Giustiniano; nè ad altro
- ↑ L’originale ha: divus Paulus nostrum πολιτευμα in cœlis esse protestatur.