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308 lettere di fra paolo sarpi.

car lite con la curia di Roma per la collazione dei benefizi!1 La sarebbe una faccenda sbrigata. Troverebbero incoraggiamento ed appoggio nel favore del Principe. Hanno però talmente fatto il callo al servaggio, da odiare chi parli loro di racquistare la libertà. Abbiatemi fede; chi si provasse a tornare in vigore la elezione, avrebbe negli stessi cherici i più fieri nemici. Specchiamoci nella congregazione dei Camaldolensi. La Repubblica fu inabilitata a difendere le loro ragioni, perchè tutta quanta la congregazione medesima fece prima rinunzia a qualsivoglia suo diritto. Vedendo che non per questo il pontefice si placava, confessò di non avere alcun dritto, di non averlo mai avuto; e più e più volte comandò al monaco, da lei fatto abbate, di sgombrare, siccome intruso, il monastero. Come vi sareste voi diportati in questa causa? Che cuore avreste avuto a proteggere chi si metteva apertamente dal lato del torto? Si venne ad una transazione, per non dare a divedere che il papa patrocinasse una ingiustizia, per avviso degli stessi favoriti.

Veniamo a noi. Son tutto intento ad ammannire abbondevole materia sulla ragion di possesso nei benefizi. Moltissime difficoltà mi s’attraversano, nè dispero perciò; in quanto che se il conato riesce a bene, mi sarà via, in tempo opportuno, a invalidar


  1. Aveva ben ragione l’argutissimo Sarpi a vagheggiar riforme in materia beneficiaria. Gli è un vero scandalo a veder altri pieni sino agli occhi di beni ecclesiastici; altri (nè sono in piccol numero) dibattentisi tra la miseria la fame! Era questo il sistema che praticavasi sotto gli antichi governi o sgoverni, e che non vedesi mutar d’un jota sotto gli odierni, benchè promettitori di giustizia assoluta e di beatitudine universale.