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lettere di fra paolo sarpi. 307


Mi piacciono assaissimo le sue interpretazioni; ma si guardino costà dall’accettar quel Concilio sulla fiducia che possa tirarsi a buon senso. Rispetto alle riserve, la romana curia vuole si tenga come articolo di fede, che la elezione in forza di decreto e di decretali fosse permessa un tempo dal romano pontefice per la durezza di cuore (uso le parole evangeliche) dei popoli e del clero, ma che l’ottima delle forme è la sola collazione pontificia. Io parlo fuori d’iperbole: se qualcuno in Italia si attentasse a dire che meglio sarebbe il provvedere alle chiese per la elezione da farsi dal clero, dal popolo e dai canonici, si terrebbe per un eretico. Mi ricordo che gl’inquisitori castigarono certo tale, per aver detto che non era a darsi mai per pastore a’ popoli chi fosse da loro malvoluto. Il punto ove il Tridentino dice che i pastori s’hanno a prendere giusta i canoni, lo intendono rispetto alle qualità degli eligendi, e non alla maniera dell’elezione. Non pensi la S.V. eccellentissima che la veneta Repubblica si strugga per le nomine dei sacerdoti; anzi sarebbe a grado dei più prudenti si proponesse una legge, per la quale niuno dell’ordine senatorio potesse per qualsivoglia ragione ascriversi al chericato. Ma questo partito è dissuaso dal timore, che il papa con la sua libertà ecclesiastica susciti nuovi subbugli. Piacesse a Dio che i cherici di questo dominio si disponessero ad appic-


    alla seconda tra le Lettere che in quello appariscono dirette al Leschassier, e che noi, seguendo i precedenti editori, producemmo tradotta sotto il numero XXXII, non senza dare a conoscere, come invece di lettera intera, venisse da noi tenuta in qualità di frammento. I lettori di ciò avvertiti, potranno ormai riportarla al vero suo luogo.