cava con sè. Non crederà nessuno che Fra Paolo, vecchissimo, volesse diventare un eresiarca. La libertà dello Stato, o, a meglio dire, la sovranità, e la libertà e sincerità della coscienza voleva, e nient’altro, e per l’Italia e per la sua Venezia, che d’ogni parte attanagliavano gli Spagnuoli, e non avea ad allearsi che con Francia, Provincie-Unite e Inghilterra. Voleva il Sarpi pertanto la riforma politica, vale a dire delle relazioni della Chiesa e dello Stato, e lasciava stare la riforma teologica di Lutero e di Calvino; voleva insomma che Venezia non diventasse un’altra Genova, ancella cioè della Spagna o di Roma, come quell’altra Repubblica. Chi potrebbe senza tener le risa credere che una riforma teologica potesse esser proposta ad un Senato, e sperata da esso pur come un decreto? Io sfido chicchessia a trovar nelle Lettere del Sarpi, ancorchè sieno state guastate, non dico già sensi di favore per li Riformati, ma una dichiarazione esplicita di partecipare alle loro dottrine. Ma non posso non ammirare l’acume politico del Sarpi, che desiderava la guerra in Italia, perchè il papa ad ogni modo avrebbe perduto. Il Sarpi non voleva staccar l’Italia dal movimento, vale a dire dalla vita dell’Europa; i preti di Roma il volevano, e sapevano bene il perchè; e quando l’Italia si è aperta alla rivoluzione europea, la curia romana ha sentito mancarsi il terreno sotto ai piedi. L’Italia si sarebbe rinvigorita al contatto de’ Riformati, come si rinvigorì al contatto della rivoluzione francese. Fra i molti luoghi che potrei citare, piacemi riportar