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276 lettere di fra paolo sarpi.

Chiesa, come di sovente incontra; e conchiudono che nella Chiesa dee dimorare la facoltà di tenere a segno i principi. E io, di rimando, così assalgo cotesta ragione, a cui sorreggesi l’edificio intero di loro ambizioso ingerimento. Dapprima, prova troppo; perocchè niuno rechi alla Chiesa maggior noia del diavolo, sul quale converrebbe menar buoni colpi di potestà coattiva per averne quiete, e più autorità ostentare che san Michele, il quale si contentò d’intonargli: A te comandi Iddio. Nego dipoi asseverantemente, che principe o potere di sorta possa vincerla sul ministero della Chiesa: portæ inferi non prævalebunt. Dalla stessa esperienza apparammo, che non valsero un tempo tiranni, nè per leggi nè per tormenti nè per morti nè per qual si fosse trovato, ad arrestare la fede; sì meglio contribuirono a propagarla. E che necessità può esservi d’abolire quel ch’è destinato a far servigio? I ministri della Chiesa possederebbero indarno il poter d’infrenare ciò che ad essi non fa ostacolo. Ma, per contro, se gli officiali ecclesiastici abusano la spirituale potestà, quali subbugli attizzeranno nel pubblico reggimento? Quale obice non metteranno a una buona amministrazione? Aggiungo questa subalterna alla prima general verità enunciata; e ne deduco che Iddio, nel conferire al principe il carico di governare lo Stato, gli trasmise a un tempo ogni mezzo giuridico a imbrigliare la gente di Chiesa, che torce il divino mandato a rovina della repubblica.

Ristringerò il tutto in una sentenza sola e comunale. Abuso di temporale potestà non vale a impedire la spirituale, acciò che le porte d’inferno non piglino il sopravvento: dunque, non ha questa