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264 lettere di fra paolo sarpi.

gnazione; e la congregazione non esperimentò i suoi dritti. Finalmente, il 1608, uscì di vita l’ultimo commendatario. Il prior generale della congrega camaldolense, toscano, che per caso trovavasi allora a Venezia, di suo moto elesse l’abate, a tenore degli statuti della congregazione. In questo mezzo, il Senato dimandò al papa che volesse far ragione ai dritti di essa congregazione. Negò ricisamente il pontefice, per la ragione che quel monastero era boccone da un nipote di papa, e lo incommendò a suo nipote; il quale non chiese pure possesso al Senato, secondo che l’uso portava. Dopo di che, l’abate istituito si rivolse al Principe, domandando facoltà di possesso. Il Principe rispose, che in tale affare non voleva recar danno a chicchessia. Il monaco allora soggiunse, ch’avea fatto la petizione per sola dimostrazione di reverenza alla Serenità Sua; che, del resto, il costume della Repubblica non portava che si desse il possesso agli abbati che sono in congregazione, mediante lettere del Senato: ad essi bastavano le sole lettere di collazione dei superiori; e però desiderava, quando non gli fosse disdetto, prender possesso alla consueta maniera. E il Principe replicò, che se non voleva far detrimento ad alcun diritto in essa causa, nè anco intendeva danneggiare la congregazione. Ciò inteso, il religioso si congedò, entrò in possesso e fu ricevuto da tutti i sottoposti, e sta pur ora al governo della sua congregazione, siccome ogni altro abate di monastero. Sostiene la curia che tal monastero non gli è dovuto, perchè investito oramai da commende, perchè uso ad essere incommendato, perchè riservato giusta le regole di cancelleria. Sostiene la congregazione, in forza del privilegio di