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lettere di fra paolo sarpi. 255

quanto di barbaro,1 e l’ambasciatore d’Inghilterra massime, sebbene insieme con quel loro sussiego sia congiunta altrettanta cortesia: ma V.E. è appunto attissima a trattare con loro, chè sa rispondere secondo le occorrenze all’una e all’altra maniera. Veramente il tenere pratica con loro, e più dimestica che si può, serve molto. Serve per dare riputazione e generare gelosia in quelli del papa e di Spagna, e renderli attoniti; essendo molto utile che credano che ci sia ancor maggiore amicizia di quella che sia in effetto.

Resto molto obbligato e debitore a V.E. per l’affetto che mi mostra, il quale anco non ora solamente m’è manifesto, ma da molto tempo: all’occasione la supplicherò, sempre con certezza di trovare l’animo pronto a favorirmi. Nessuna cosa mi può occorrere, salvo che in materia delle persecuzioni del papa; ed è vero che già due mesi se ne diceva qualche parola, ma dopo s’è passato a così alto silenzio, che mi fa stupire. Io credo non che abbia mutato il mal animo, ma che altri pensieri l’abbiano divertito: nè credo, mentre egli tace, essere bene trattar cosa alcuna, per non tornare il negozio in piedi, dal canto nostro; ma tacendo egli, tacere, ed allora solo adoperarsi quand’egli fa moto. Forse che piacerà a Dio fare che non se ne parli più, ed io piuttosto desidero che la cosa passi così, e termini in un silenzio piuttosto che in una composizione, parendomi che così passi con più riputazione pubblica: chè, del resto, io sono senza bisogni e senza desiderii.


  1. Da rammentarsi ai critici, panegiristi o detrattori, dello Shakespeare.