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242 lettere di fra paolo sarpi.

possesso dell’abate per decreto della Repubblica. Soltanto non gli si dà noia pel possesso che prese di suo moto; ed eccone il perchè. Niuno, anche nominato a qualsivoglia benefizio dalla curia romana o dall’ordinaria, può entrarne al possesso senza l’intervento del giudice laico, autorizzatovi da lettere del Principe. Da questa legge vanno eccettuati i soli abati, che si creano temporariamente dalle proprie congregazioni. A questi per l’accoglimento suffragano le sole lettere dei respettivi superiori, perchè la congregazione è già in possesso; e così segue in tutti i monasteri Benedettini. Questo nostro abate, che sta in carica un triennio ed è nominato dalla sua congregazione, sostiene che non ha bisogno delle lettere del Principe e dell’officio del giudice, ma gli bastano all’uopo le sole lettere del superiore. Nessuno gli dà sulla voce; e dura per questo modo al possesso. Conosce il Principe l’accaduto, e nol mena buono nè il disapprova, pronto a far ragione a chi dirà contro: il che per anco non s’è verificato. E i romaneschi si guardano dal farne lagnanze dinanzi al Principe, per non sembrare approvatori del civil fôro. Nessuno frastorna in via di fatto il possesso dell’abate, perchè il popolo è tutto per lui. E come opporglisi legalmente, non sanno: intanto egli sfrutta l’impiego. Se arriva alla raccolta del grano (che varrà 12,000 ducati d’oro) e del superfluo al vitto dei monaci regalerà i poveri, degli sforzi de’ romaneschi a cacciarlo via sarà un bel nulla.

Del codice di Magonza che V.S. promette inviarmi a stampa, le sarò tenuto oltremodo; e l’attendo con ardentissimo desiderio. Io scrivo alla S.V. dimesticamente e senza eleganza di sorta: non