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186 | lettere di fra paolo sarpi. |
gar la sua Maestà, senza affliggerci per timore del male, il quale forse non avvenirà, sì come di mille cose temute non succede una; e quando pur avvenisse, non sarà tanto male quanto reputiamo; e se farà male, certamente ci ritornerà in bene. Come fu certo san Paolo che agli amici di Dio tutto torna a bene, ne dobbiamo esser certi noi, rimettendo tutto alla sua santa volontà, poichè non sappiamo che desiderare. Ma son molto semplice io, che porto acqua al mare, raccordando a lei quello ch’ella tiene sempre in memoria.
Quando quei miei amici (che così chiamerò, benchè non ho mai visto, che sappia, alcun di essi) furono imprigionati in Roma, mi cadde immediatamente nell’animo che qualche artificio vi fosse sotto. Adesso che il Poma è confinato in Civita Vecchia, io penso l’istesso. Non resterò di guardarmi, e al sicuro non m’inganneranno. Per me, non so che fare più di quanto faccio. Alcerto, con tutte le loro arti, non effettueranno niente senza Dio: a lui rimetto il tutto.
Con questo proposito, dirò di nuovo a V. S., che per occasione dell’andata a Roma dell’arcidiacono, già vicario, e per li mali termini usati da lui con indignità di questo principe, e per il trionfo grande che fanno dell’acquisto, il Senato ha deliberato di procedere contro lui, secondo il merito; e presto si saprà quello che è. E a quelli che sono restati, ha assegnato duecento ducati per uno di provvisione in vita, oltre quello che hanno: il che essendo statuito anco per me, l’ho constantissimamente rifiutato, non volendo in modo alcuno che il mio servizio abbia altra mercede che l’esecuzione del mio