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xiv fra paolo sarpi.

commedia senza cui non si possono intendere, e provengono dall’avversione che egli ha di pigliar le metafore per cose reali e ingannar sè e altrui; ondechè intrecciano e fan corpo con la minuta narrazione dei fatti, e ne’ racconti. Fra Paolo non le mette del suo che assai di rado, e quando la verità n’è garantita dall’altre prove: ad esempio, quando parla nella Storia del Concilio del vescovo Arcimboldo, il quale, nell’assunzione della dignità e carico episcopale, non si era dimenticato di alcuna delle qualità di perfetto mercatante genovese. Le più volte riferisce le voci che corrono, e gli basta; come il pasquillo dello Spirito Santo mandato di Roma al Concilio in valigia. Trovo nella Lettera 54 riportato un bellissimo pasquillo per la morte di Bartolommeo Borghese, che si spacciava figliuolo del papa, e l’ebbe nelle mani la giustizia francese. Cur sacrilegorum pœnis iste periit? Quia filium Dei se fecit. Così poi nella Lettera 55 al signor De l’Isle Groslot, Fra Paolo s’indegna dell’iniqua giustizia eseguita in Parigi: «Credevano con la morte di un misero fermar un romore che con tutta la sua forza sarebbe però passato in poche persone, e l’hanno con quel mezzo fatto correr per tutto il mondo;» e beffa non so qual discorso stampato in quell’occasione per affermare la virginità del papa. L’amore alla verità e l’esattezza del giudicio fanno il Sarpi diligentissimo ricercatore di ogni minuta particolarità, e puoi veder nelle Lettere com’e’ non ristava finchè di ogni cosa non era informato a