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lettere di fra paolo sarpi. 153

derio, che ogni ora d’indugio mi pare un secolo; ma ben Ella saprà compensare la dilazione con la grandezza dell’opera e l’importanza degli argomenti. Ma una cosa sola (se m’è concesso esprimere un desiderio) vorrei ci fosse aggiunta: cioè le formole e la condotta pratica, più presto esuberante che piena, usata una volta o tuttora in Francia dalla S.V., laonde con appellazioni e simiglianti rimedi Ella ributta la tirannide e gli abusi che a poco a poco s’insinuano.

Piacemi che il cardinal di Perrone siasi ritirato nella diocesi di Sens,1 per causa di quel lavoro che matura già da un decennio. Mi lusingo però che non anderà Italia sì a lungo privata della sua presenza, che Roma non l’abbia a rivedere anche prima che venga a luce quell’opera. Oh se dall’età e dagli altri impacci mi fosse concesso di fare una scappata costì, con che bramosia gusterei cotesta libertà e tanta candidezza d’animo! Ma neppure in effigie potrò venirci; chè farei danno alle stesse immagini di cotesti dotti, le quali per tal compagnia sarebbero investite dal fulmine romanesco. Che se mi si fa licenza ad una scelta, nulla bramo di meglio che riuscire a Lei ed agli altri non disutile servitore. Intanto la S.V. abbia, ne la prego, in conto la mia osservanza e il buon volere.

Venezia, 3 decembre 1608.




  1. Giacomo Davy du Perron era nato calvinista, e si convertì e prese la carriera ecclesiastica, della quale giunse ai più alti gradi, sedendo Clemente VIII, nel 1604. Egli fu quello che nell’opera di Duplessis Mornay sull’Eucaristia, avendo scoperto (come dicono) più di cinquecento errori, tenne con lui su tal proposito una conferenza molto famosa in Fontainebleau, nella quale i cattolici vantano che giungesse a confondere e mortificare il suo antagonista.