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xii fra paolo sarpi.

grottesca, uno spaventevole demonio che turba le sue notti, e gli si avvinghia al collo, e l’assedia di argomentazioni, e provasi di sillogizzare con esso lui. Codesto demonio, analizzato psicologicamente, è l’acume metafisico, onde origina una riflessione adeguata al pensiero; una ragione che, per mezzo dell’analisi scevrando ogn’idea, arriva al sapere scientifico. Egli è perciò che il demonio, non che trarlo in errore, insegna a Lutero. Se Fra Paolo fosse stato poeta, o, a meglio dire, fosse potuto essere, quel ch’era un demonio per Fra Martino, avrebbe chiamato angiolo di luce; quel che il Wittimberghese schiva, è ciò che predomina invece nel Sarpi: il primo si piace ad urtare le idee come le parole (ad esempio, il servo arbitrio), perchè dall’urto scintilli il sentimento in cui si appaghi il suo subbiettivismo; il secondo, comecchè avesse l’animo caldo, ha freddo e misurato l’intelletto, e non ha pace finchè l’analisi non ha chiarito a punto ogni idea; sicchè rimansi bene spesso nella scettica, da cui si stoglie dandosi all’esame delle verità effettuali. Per la natura del suo intendimento, Sarpi avea a riuscire, come accadde, giurisprudente, nel significato antico della parola. Non ha somiglianza a Lutero, non è uomo di misticismo e di sentimento, ma di ragione ferma e tetragona: nè tampoco rassomiglia a Calvino; mancagli l’audacia del paradosso e il furore della novità: nè il suo ingegno si appiglia alla critica minuziosa onde scaturiva il socinianesimo. Insomma, non era buono da farne un ere-