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lettere di fra paolo sarpi. 113


Le cose sono in uno stato, nel quale non è possibile che continuino. È necessario che in questo tempo succeda una grande e manifesta rottura, ovvero una buona e sincera intelligenza. Dio faccia quello ch’è secondo la sua santa volontà. Se al re viene parlato con insolenza, nè fin qui viene usata modestia nel trattare, il fine conviene che sia comune: ovvero di riceverli per padroni e ascoltarli come precettori (chè tanto pretendono), ovvero di farli conoscere a loro stessi quali veramente sono. Io vivo con gran gelosia, perchè (se non m’inganno) non viene considerata la grandezza del pericolo quanto merita.

Già due settimane, fu mandato via di questo Stato un confessore, per aver negato di ammettere alli Sacramenti un gentiluomo che teneva il libro del Quirino. Per questa causa, il nuncio ha fatto le querimonie e le minaccie che V.S. potrà giudicare. Di queste cose non ne avvengono poche, come li umori s’ingrossano; nè però si teme, come si dovrebbe, che possino produr qualche apostema pericoloso.

La partita di Fra Fulgenzio io non la stimo per le qualità dell’uomo, chè per questo rispetto converrebbe averne piacere; ma perchè, considerati li particolari, mi si rende dubbio che sotto non ci sii qualche cosa di coperto importante. Egli partì di qui con salvocondotto del nuncio; passò per le terre della Chiesa, incontrato e favorito. Gionto in Roma, ha ricevuto dal papa assignazione di spese pubbliche per sè e per tre servitori; ha avuto da Sua Santità favorite e lunghe audienzie; e specialmente, già due settimane, stette col pontefice due ore ben grosse, re-


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