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90 | lettere di fra paolo sarpi. |
in quell’anno, nella città di Pinguento, spettante al dominio della Repubblica ma compresa nella diocesi di Trieste, comandò quel vescovo ai preti di non udire le confessioni del capitano e degli uomini della comunità, per non essersi obbedito circa il non ammettere certi preti che a lui non piacevano. Siccome Trieste non è soggetta a Venezia, e pareva che il vescovo potesse senza rischio operare secondo il suo arbitrio, nè in tale stato delle cose poteva attendersi verun rimedio da Roma, si cercò di sciogliere la difficoltà in questo modo. Fu comandato all’arciprete del luogo di far pubblica dichiarazione, che il vescovo non poteva insieme confondere il fôro di penitenza col fôro contenzioso, e che perciò ai preti non era da’ suoi comandi impedito il confessare; e però questi andassero liberamente alle chiese e udissero secondo il solito le loro confessioni. Il che essendosi eseguito, e il vescovo non sapendo più dove dar del capo, approvò col suo silenzio la cosa. Tanto noi già non avremmo osato pel passato, ma ora a nuovi soprusi siamo costretti di opporre novelli rimedi. Desidero perciò sapere di quali facciate uso voi altri costà, e di quali si sieno valsi i cittadini di Acqui.
In quanto all’arcano modo di agire dei Gesuiti in questi stessi luoghi da cui già vennero espulsi, credo che la S.V. abbia colto perfettamente nel segno. Si crede per molti indizi, e questi assai probabili, che alquanti di loro, con mutate vesti, s’introducano nelle nostre città; e ciò senza troppe malagevolezze. Le ragioni perchè ciò fanno, sono due: la prima, per tenere in fede e nella soggezione i loro adepti, affinchè non passino in altre mani; l’altra,