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libro settimo - capitolo v |
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ogni uomo, e li principi massime, sentono quando si disegna
dopo la vita loro, come anco perché nessuna cosa lo rendeva
piú certo dell’animo de’ francesi, risoluto alla riforma della corte
e del pontificato. E a queste cose aggiongendo anco le differenze che erano in Trento per la instituzione delli vescovi e
per la residenza, fece ridur quotidiane congregazioni; e non
si teneva che non dicesse ad ogni sorte di persona che non
aveva negozio piú importante e piú pericoloso a sé che il
concilio: e nel dar conto in concistoro delle differenze per
causa dell’instituzione e della nova proposta della residenza,
uscí ad esclamare che tutti li vescovi beneficiati da lui erano
contrari, e che nodriva in Trento un esercito di nemici. Era
anco opinione che in suo secreto avesse caro qualche progresso degli ugonotti in Francia, o qualche avvantaggio de’
protestanti nella dieta di Germania, a fine che il concilio si
dissolvesse senza sua opera. Nondimeno, tutto intento alli remedi, ordinò che li vescovi non ancora partiti da Roma si
partissero immediate, e volle che anco Marc’Antonio Bobba
vescovo di Austa, ambasciator del duca di Savoia appresso
di sé, vi andasse. Dall’altra parte proibí l’andarvi all’arcivescovo turritano e al vescovo di Cesena: a quello perché nel
concilio sotto Paulo, nella materia della residenza, con piú
constanza che non comportava il tempo, difese che fosse de iure divino; il vescovo di Cesena, perché era molto intrinseco
del cardinale di Napoli, del quale diffidava assai per la carnificina delli due zii di quello e per le esecuzioni fatte contra
la sua persona: e temeva perché in mano del conte di Montebello, padre del cardinale, si diceva esser una polizza di mano
di esso papa, essendo cardinale in conclavi, per la quale prometteva certa somma di denari al Napoli per il suo favore.
Ma con tutto che la maggior diffidenza fosse sopra francesi,
nondimeno giudicò meglio dissimularla. Mandò in Francia
quaranta mila scudi per resto delli cento mila promessi; e a
Trento mandò Sebastiano Gualtero, vescovo di Viterbo, insieme con Lodovico Antinori (li quali, essendo stati in Francia,
avevano qualche conversazione con alcuni di quei prelati e