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libro settimo - capitolo xi


Le difficoltá di che si è parlato, erano sei. L’una, sopra il decreto giá fatto che li soli legati proponessero; la seconda, sopra la residenzia, se fosse de iure divino; la terza, sopra l’instituzione de’ vescovi, se hanno la loro autoritá immediate da Cristo; la quarta, sopra l’autoritá del papa; la quinta, di accrescer il numero de’ secretari e tener conto minuto e fidato delli voti; la sesta, e piú importante, della riforma generale. Le quali io ho voluto recapitular in questo luoco, come per anacefaleusi di quello sopra che sin ora si era travagliato, e proemio delli travagli che seguitano da narrarsi.

Non fu novo in Trento l’avviso che andò della instanzia fatta in Roma al papa, perché giá li ambasciatori cesarei e francesi avevano pubblicato che cosí si doveva fare, per voltarsi poi al concilio unitamente a far le richieste medesme. E il Cardinal di Lorena, solito a parlar variamente, diceva che se quei principi ricevessero satisfazione che le loro petizioni di riforma fossero proposte e la riforma stabilita senza diminuzione dell’autoritá pontificia, farebbono cessar immediate quelle instanze. E aggiongeva appresso che al papa sarebbe facile riuscire della riforma e venire all’espedizione del concilio, quando si lasciasse intendere chiaramente quali fossero li capi che non volesse che si trattassero, acciocché si potesse attender all’espedizione degli altri; e che con questo si leveriano le contese che sono causa delle dilazioni. Perciocché presupponendo alcuni (che vogliono mostrarsi affezionati a Sua Santitá) che una parte di quelle petizioni sia pregiudiciale alla sede apostolica, si oppongono a tutte; e altri, negando che alcuna pregiudichi, sono causa di portar il negozio in longo: che quando Sua Santitá fosse dechiarata, le difficoltá cesserebbono. Li ambasciatori cesarei diedero copia in Trento a molti della lettera dell’imperatore scritta al papa; per la qual causa li legati vennero in opinione di far andar attorno essi ancora la copia della scritta da loro in risposta a quella Maestá, quando li mandò quella che al papa aveva scritto; la qual risposta essendo fatta secondo l’instruzione scritta da Roma, conteneva li medesimi concetti che la lettera del papa.