Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
138 | l'istoria del concilio tridentino |
grand’inconvenienti che dalli matrimoni secreti nascono, e innumerevoli adultèri che seguono, e concluse esser ispediente che
vi sia posto rimedio coll’irritarli. Fece insistenza grande sopra
quel caso inestricabile: se alcun, dopo aver contratto e consumato matrimonio in secreto, contrae poi in pubblico con
un’altra, dalla quale volendo partire e ritornar alla prima e
legittima, sia costretto con censure di rimanere nel pubblico
contratto; dove il misero da ambe le parti resta inviluppato,
o vero in adulterio perpetuo, o vero in censure con scandalo
del prossimo.
L’altro giorno seguí il decano di Parigi, che della instituzione del matrimonio, e della grazia che in quello si riceve, e del dannare chi l’asserisce invenzione umana, parlò abbondantemente, con dottrina scolastica. Ma sopra l’articolo dei clandestini, avendo disputato che erano veri matrimoni e sacramenti, pose difficoltá se la Chiesa avesse potestá d’irritarli. Contradisse a quell’opinione che nella Chiesa vi sia autoritá sopra la materia de’ sacramenti; discorse che nessun sacramento al presente legittimo può la Chiesa far che all’avvenire non sia valido; esemplificò della consecrazione dell’eucaristia, e passò per tutti li sacramenti. Disse non esser tale la potestá ecclesiastica che alcun debbi presupporsi di poter impedir tutti li peccati; che la chiesa cristiana era stata millecinquecento anni soggetta a quello che adesso vien descritto per intollerabile; e quel che non meno si debbe stimare, dal principio del mondo li matrimoni secreti sono stati validi, e nessun ha pensato di volerli annullare, con tutto che frequentemente sia occorso il caso d’un pubblico contratto dopo d’un matrimonio secreto; che par sii un insolubile, il qual da ogni canto porti inconvenienti; che il primo matrimonio tra Adam ed Eva, esemplare di tutti gli altri, non ebbe testimoni. Non restò senza esser stimato il parer di questo dottore; ma fu molto grato alli prelati italiani che, occorrendoli una volta nominar il papa, aggionse formalmente questo epiteto con la seguente esposizione, dicendo: «rettor e moderator della chiesa romana, cioè dell’universale». Con che diede anco materia a molti ragio-