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454 l'istoria del concilio di trento


con ambe le specie: e passò ad esortare a concederla anco al tempo presente. Il discorso alli stanti dispiacque; ma il Cinquechiese pigliò la protezione sua, con dire che il frate non aveva detto cosa falsa, né si poteva imputargli d’aver dato scandolo, perché non aveva parlato né al populo né ad idioti, ma in una corona de dotti, dove nessuna cosa vera può dar mala edificazione; e chi voleva dannar il frate per scandaloso o temerario, dannava prima se stesso per incapace della veritá.

La differenza che fu tra li teologi fu anco tra li prelati deputati a comporre la dottrina e li anatematismi per proporre in congregazione; imperocché nella dottrina dovendosi metter le prove ed esplicazioni perché la messa sia sacrificio, secondo la propria affezione chi una, chi l’altra voleva o reprobava. Martino Peresio vescovo di Segovia, che era intervenuto alle trattazioni che in questa materia si ebbero in concilio nel fine del 1551, era di parere che si pigliasse quella stessa dottrina e canoni che erano formati per pubblicarsi il gennaio 1552, e quelli fossero riveduti. Ma il cardinale Seripando non approvava, dicendo che in quello appariva una pietá e zelo cristiano incomparabile, ma soggetto molto alle calunnie degli avversari; che non bisognava aver per fine d’instruir li cattolici, come pareva che quei padri avessero avuto, ma di confonder gli eretici: per il che conveniva parlar in tutte le parti piú riservato, e non esser giusta cosa metter mano, come correttori, nelle cose allora ordinate: meglio esser far di novo, e non dar occasione di dire che s’abbia raccolto il seminato d’altri. Granata era discorde da tutti; non voleva che si dicesse che Cristo offerí nella cena, né meno che instituisse il sacrificio con le parole: «Fate questo in mia memoria». Seripando, quanto al primo, diceva non averlo per necessario e potersi tralasciare, bastando che Cristo abbia instituito l’oblazione; ma esser ben necessario dire con qual parole, né esserne altre che le suddette. Ma Giovan Antonio Pantusa, vescovo di Lettere, con molta passione voleva nel decreto le ragioni e di Melchisedech e di Malachia, e l’adorazione della Samaritana, e le mense di san Paulo, e l’oblazione di Cristo