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440 l'istoria del concilio di trento


in sospetto a Mantoa per offici fatti contra lui; ma egli lo fermò modestamente, dicendo che all’avvenire non parleranno cosí. Trattarono strettamente come dar compita sodisfazione al papa e alla corte in materia della residenza, e quai prelati sarebbono atti a maneggiarsi a persuader gli altri. Quelli che giá erano scoperti per ristretti negl’interessi pontifici o della corte, se ben atti del rimanente, stimarono non buoni per mancamento di credito. Messero due di stima per bontá, e molto destri nel negoziare, li vescovi di Modena e di Brescia. L’istesso giorno l’arcivescovo di Lanciano, congregati li vescovi che per suo porto avevano scritto al papa, li presentò il breve di risposta, pieno di amorevolezza, umanitá e offerte, che gl’indolcí tutti e portò gran momento per rilasciare l’ardire della residenza. S’aggionse pur il giorno medesimo un altro accidente molto favorevole al pontefice; che il marchese di Pescara mandò al secretano copia d’una lettera scrittagli dal re, dove li diceva che, avendo inteso dispiacer all’imperatore e a Francia la dechiarazione della continuazione, e conoscendo che, quando si facesse, potrebbe causar dissoluzione del concilio, li commetteva che non ne facesse piú alcuna instanza, pur che non si faccia dechiarazione di nova indizione, e che il concilio segua, proseguendo come ha incominciato. Gli ordinò appresso di far saper alli prelati suoi che egli aveva inteso la controversia e disputa sopra la residenza, e l’instanza da loro fatta acciò si dechiarasse de iure divino; che lodava il loro zelo e buona intenzione; nondimeno li pareva che per allora non fosse a proposito tal dechiarazione; però non dovessero farne maggior instanza. Mostrò il secretario la lettera alli prelati spagnoli; e Granata, consideratala accuratamente, disse che la faccenda andava bene, poiché il papa non la voleva; che il re non sapeva quello che importasse; che era consegliato dall’arcivescovo di Siviglia che mai risiedette, e dal vescovo di Cuenca che se ne stava in corte; che egli sapeva molto bene a che fine il re comandava, e l’obedirebbe in non protestare; ma non resterebbe di dimandarla, sempre che fosse venuta occasione, sapendo che non offenderebbe il re. Fu anco mo-